(12-05-13) La lotta all'obesità comincia nelle mense scolastiche
Il programma che dal 1946, negli Stati Uniti, dispensa pasti gratuiti o a
prezzo calmierato agli studenti è finito di recente nell'occhio del ciclone,
quando si è scoperto che in alcuni Stati non venivano seguite le
raccomandazioni nutrizionali. Ora uno studio appena pubblicato su Jama
pediatrics da un gruppo di ricercatori diretti da Daniel Taber dell'Università
di Chicago, in Illinois, conferma che esiste una decisa relazione tra la
qualità dei pasti serviti in ambito scolastico e prevalenza di sovrappeso e
obesità. «In queste revisioni delle modifiche ambientali potenzialmente
efficaci, le scuole emergono come luoghi-chiave per interventi contro
l'obesità. Questo ha senso» commenta Marion Nestle, del Department of
nutrition, food studies and public health dell'Università di New York,
nell'editoriale di accompagnamento. «La maggior parte dei bambini frequenta la
scuola per gran parte della giornata. Per molti di loro, il pasto scolastico
rappresenta una frazione sostanziale dell'apporto alimentare giornaliero. È
sempre più abbondante l'evidenza a conferma del fatto che gli interventi
alimentari in contesto scolastico possono aiutare a promuovere modi di mangiare
più sani e il contenimento del peso corporeo, specialmente tra i bambini con
più probabilità di avere conseguenze maggiori in caso di obesità. I
professionisti della sanità dovrebbero applaudire questo tipo di interventi»
conclude l'editoriale. La tematica ovviamente interessa anche gli alunni
italiani: secondo i dati 2010 dell'indagine “Okkio alla salute” in un campione
di scuole elementari, solo il 68% delle scuole italiane possiede una mensa; il
38% prevede la distribuzione per la merenda di metaÌ mattina di alimenti
salutari (frutta, yogurt ecc.); il 34% delle classi svolge meno di due ore di
attività motoria a settimana. Inoltre, solo 1 scuola su 3 ha avviato iniziative
per promuovere una sana alimentazione e l’attività motoria. Quanto alla
prevalenza di sovrappeso e obesità, risultava rispettivamente del 23,2% e del
12,0%.
Fonti:
JAMA Pediatr. 2013;():1-8
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