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Le ricerche di Gerona 2005

(24-05-13) Malati terminali: pro e contro della comunicazione al paziente




I pazienti devono essere a conoscenza di essere malati terminali? Questa la
domanda posta nella rubrica “testa a testa” pubblicata sull’ultimo numero del
British medical journal

I pazienti devono essere a conoscenza di essere malati terminali? Questa la
domanda posta nella rubrica “testa a testa” pubblicata sull’ultimo numero del
British medical journal. Emily Collis, palliativista del St Charles’ hospital
di Londra, Regno Unito, sostiene che il consenso informato è un principio etico
fondamentale, mentre Leslie Blackhall, dell’unità di cure palliative dell’
Università della Virginia a Charlottesville, crede che il concetto di “malattia
terminale” non sia ben definito e la prognosi non sia mai certa. «I pazienti
oncologici avanzati non hanno bisogno di sentirsi dire che sono terminali»
afferma Blackhall. «E ciò non significa che dovremmo fingere di poter guarire
malattie incurabili o, peggio, nascondere informazioni a chi vuole conoscerle.
Tuttavia, informare a tutti i costi il paziente sul suo stato per facilitarne
le scelte di fine vita è un modo di procedere che crea più sofferenza di quanta
ne allevi». Per Collis, invece, il processo decisionale in una malattia
terminale si estende dalla terapia medica alla pianificazione delle cure, dai
provvedimenti patrimoniali e legali alla scelta del luogo dove morire. «È
preoccupante come tali decisioni non siano sempre pienamente informate»
riflette la palliativista britannica, spiegando che un recente studio ha
dimostrato che il 69% di 710 pazienti con tumore polmonare incurabile e l’81%
di 483 pazienti con cancro del colon-retto non sapevano che la loro
chemioterapia palliativa avrebbe difficilmente curato la malattia. Sottolinea
Collis: «Informazioni accurate, comunicate nel giusto modo e con i dovuti
riguardi, consentono ai pazienti di effettuare scelte informate e realistiche,
aiutandoli a ottenere, quando e dove vogliono, le cure che preferiscono». Ma la
palliativista statunitense ribatte sostenendo che la vera questione non è se i
pazienti debbano sapere di essere malati terminali oppure no, ma come si possa
fornire la migliore assistenza a chi soffre di malattie incurabili e
progressive. I pazienti con malattie che limitano la vita hanno bisogno di
capire i limiti della terapia, gli effetti collaterali a essa connessi, le
modalità con cui la malattia potrebbe progredire. «In questo modo non voglio
ingannare il paziente o ripristinare cure paternalistiche, ma solo essere
onesta sull'efficacia che le diverse opzioni terapeutiche hanno nel curare il
cancro» conclude Blackhall.

Fonti: BMJ. 2013 Apr 24;346:f2589 doctornews33

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