(27-05-13) Errori diagnostici: più frequenti e dannosi di quelli terapeutici
Gli errori nella diagnosi, e non quelli chirurgici o quelli dovuti a eccesso
di cure, causano i danni più gravi per il paziente e rappresentano la fetta più
ampia dei reclami, con un esborso totale di quasi 39 miliardi di dollari nei
soli Stati Uniti nell’arco di 25 anni
Gli errori nella diagnosi, e non quelli chirurgici o quelli dovuti a eccesso
di cure, causano i danni più gravi per il paziente e rappresentano la fetta più
ampia dei reclami, con un esborso totale di quasi 39 miliardi di dollari nei
soli Stati Uniti nell’arco di 25 anni. Sono giunti a queste conclusioni i
ricercatori della Johns Hopkins university di Baltimora, Maryland, che hanno
valutato frequenza, effetti sulla salute e conseguenze economiche degli errori
diagnostici commessi dai medici statunitensi e registrati tra il 1986 e il 2010
presso la National practitioner data bank, una banca dati elettronica in cui
sono schedati gli errori medici. Gli studiosi hanno analizzato 350.706 reclami
che hanno ottenuto un rimborso. Tra questi il 28,6% era dovuto a errori
effettuati nella diagnosi, che rendevano conto di circa il 35% del valore
totale dei risarcimenti. Questo tipo di errori include una diagnosi mancata,
scorretta, oppure giusta, ma effettuata troppo tardi. Le conseguenze sono
evidenti: mancato trattamento, terapia inappropriata o non tempestiva. Tra gli
errori diagnostici più comuni, ci sono le mancate diagnosi, mentre i pagamenti
più ingenti si sono registrati nei casi di seri danni neurologici, come
tetraplegia o lesioni cerebrali: «Nella maggior parte dei casi una diagnosi
errata porta a conseguenze molto gravi per il paziente, come il decesso o un
danno permanente, che si verificano circa nel doppio dei casi rispetto ad altri
errori medici» spiega David Newman-Toker, professore associato di neurologia
alla Johns Hopkins e coordinatore dello studio pubblicato online su Bmj quality
and safety. Dalla revisione è anche emerso che, rispetto ai pazienti
ospedalizzati, quelli ambulatoriali incappavano più frequentemente nell’errore
diagnostico, con un 31,2% dei casi per i primi contro il 68,8% per i secondi.
Tuttavia, quando la diagnosi non corretta era effettuata sui soggetti
ricoverati la probabilità di un esito infausto era maggiore (48,4% contro il
36,9%). «A differenza degli errori chirurgici, che sono evidenti nell’
immediato, gli sbagli diagnostici sono spesso sottostimati perché difficili da
misurare, visto che spesso le loro conseguenze emergono a distanza di tempo»
afferma Newman-Toker, il quale puntualizza come la loro stessa revisione abbia
scoperchiato solo i casi più gravi: «Ce ne sono molti altri che causano fastidi
e sofferenze nei pazienti. Una stima dice che ogni volta che un individuo fa
visita a un medico per un nuovo problema, la frequenza media di errore
diagnostico è pari a circa il 15%».
Fonti:
BMJ QUAL SAF. 2013 APR 22. [EPUB AHEAD OF PRINT]
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