(10-06-13) Longevità di famiglia protegge lucidità della mente
Nelle famiglie caratterizzate da un’eccezionale longevità sembra esserci un
deterioramento cognitivo rallentato rispetto a chi vive una vita di normale
durata
Nelle famiglie caratterizzate da un’eccezionale longevità sembra esserci un
deterioramento cognitivo rallentato rispetto a chi vive una vita di normale
durata. Parola di Stephanie Cosentino, neuropsicologa alla Columbia university
di New York, che assieme ai colleghi ha esaminato i legami esistenti tra le
famiglie longeve e il deterioramento cognitivo che porta alla malattia di
Alzheimer. «Una longevità eccezionale può essere definita in vari modi, tra cui
sopravvivere fino a una data età, oppure sopravvivere senza malattie o senza
disabilità oppure anche invecchiare senza disturbi cognitivi» spiega la
ricercatrice, che continua: «Diversi studi svolti su persone di lunga vita
hanno trovato aggregazioni familiari per quanto riguarda la sopravvivenza alle
età estreme. Tuttavia, la misura in cui tale longevità familiare è
caratterizzato da una sopravvivenza cognitivamente intatta non è ancora
stabilita». Un esempio è il “Long life family study” (Llfs), uno studio di
coorte concepito per esaminare i fattori, genetici e non, associati a una
eccezionale longevità familiare. «Ebbene, i discendenti dalle prime famiglie
partecipanti a Llfs hanno una minore incidenza di diabete mellito, malattie
polmonari e più alti punteggi ai test cognitivi dei loro coetanei discendenti
da famiglie meno longeve» sottolinea Cosentino. Lo studio della Columbia,
pubblicato su Jama neurology, ha incluso un totale di 1.870 individui,
reclutati da due generazioni di partecipanti al “Long life family study”, nei
quali è stata misurata la prevalenza di deficit cognitivo coerente con la
malattia di Alzheimer. E i risultati dimostrano una riduzione del rischio di
deficit cognitivo nell’arco di tre generazioni. In altre parole, rispetto ai
coetanei meno longevi il rischio di Alzheimer era simile nella famiglie di
prima generazione, per ridursi progressivamente nei figli e nei nipoti. «Nel
complesso, questi dati sembrano coerenti con un inizio ritardato della malattia
nelle famiglie di lunga durata, ma i risultati vanno confermati da ulteriori
studi» conclude Cosentino.
Fonti:
Jama Neurology 2013;70(3):1-8
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