(19-07-13) Tonno in scatola, come sceglierloTra qualità e sostenibilità ambientale
La frontiera è il pescato con la canna.Le grandi aziende investono in un prelievo più sostenibile. Viaggio nella filiera, dalla pesca con la lenza all'etichetta. Le specie che si inscatolano e i vantaggi nutrizionali di ELVIRA NASELLI
Se scegliere un prodotto alimentare è sempre più un atto di consapevolezza, la nuova frontiera - per consumatori attenti anche all’ecosistema - è il tonno in scatola pescato con la canna. Un sistema un po’ romantico, un uno-contro-uno che garantisce posti di lavoro in zone del mondo dove la pesca è praticamente l’unica risorsa, e che ha il vantaggio di impedire le tante catture accidentali degli altri sistemi, invise ai protezionisti. Una fetta di mercato che è ancora nicchia ma che può rivelarsi estremamente interessante se l’azienda leader di mercato, la Bolton, con il suo marchio Rio Mare, ha già in assortimento un tonnetto striato (skipjack) pescato con questa modalità nelle isole Solomon, nel Pacifico del Sud, dove sta investendo per riattivare altre imbarcazioni per la pesca tradizionale. Hanno un prodotto simile As do mar e Mareblu, mentre Coop è a giorni sugli scaffali con un tonno pinne gialle pescato a canna nella linea a marchio proprio. Costo circa 10-15% in più.
L’Italia è il secondo produttore di tonno in scatola in Europa, dopo la Spagna, e siamo anche discreti consumatori con 2,3 chili annui a testa. Un consumo costante per un alimento versatile e facilmente utilizzabile in insalate veloci, panini o paste fredde fornendo proteine e apporto calorico contenuto, se si scola bene l’olio della scatoletta. Non solo. «Il contenuto di grassi - precisa Pietro Migliaccio, presidente Sisa (società italiana scienza dell’alimentazione) - è importante per l’apporto di omega 3 e inoltre il tonno è ricco di iodio, potassio, fosforo e vitamine del gruppo B».
In Italia si inscatola soprattutto tonno a pinne gialle che arriva in loins, filetti precotti congelati direttamente nelle zone di pesca. Il processo di trasformazione è lungo e segue tappe precise, controllate termicamente: nel caso delle Solomon, subito dopo la cattura il pesce viene congelato a bordo delle navi. All’arrivo al centro di trasformazione viene scaricato e scongelato progressivamente in vasche apposite. Dopo una prima pulitura viene cotto a vapore e raffreddato a temperatura e umidità costanti per poter essere pulito più accuratamente (pelle, lische, parte scura ventrale).
Con velocità e precisione perché questo lavoro è fatto a mano - si ricavano i filetti che vengono poi impacchettati in film plastico, congelati e trasportati in container frigo fino in Italia, dove si succedono le fasi di inscatolamento, aggiunta di sale e liquido (olio o acqua che sia) e chiusura della scatoletta, sottoposta poi a sterilizzazione. Infine l’etichettatura. In mezzo, tanti controlli (vedi accanto).
Ma la qualità di un prodotto è fatta di tante cose, a cominciare dalla specie utilizzata. «La più pregiata in assoluto è il tonno rosso premette Valentina Tepedino, direttrice di Eurofishmarket - ma è proprio una nicchia di mercato, anche sconosciuta alla maggioranza dei consumatori. Ci sarebbe anche l’alalunga, un tonno dei nostri mari, eccellente quasi quanto il tonno rosso ma poco richiesto per il colore chiaro, quasi bianco delle sue carni. Il tonno in scatola più consumato è il pinne gialle, che non vive nel nostro mare, e ha carni meno compatte che si tagliano con un grissino, cosa che un’astuta pubblicità ha trasformato nel pregio numero uno del tonno. Il meno diffuso da noi, ma il più inscatolato al mondo, è il tonnetto striato, specie meno pregiata, insieme al tonnetto obeso».
Tornando al metodo di pesca, tra tonni pescati diversamente non ci sono differenze nutrizionali o di gusto anche se è fondamentale ridurre al massimo lo stress del pesce alla cattura per ottenere un prodotto migliore per colore e durata commerciale. Diverso, invece, l’impatto sull’ambiente, tanto che tutti i grandi marchi inglesi si sono impegnati ad utilizzare soltanto tonno da canna o da cattura senza Fad, aggregatori di pesci (vedi sotto) contestati dagli ambientalisti. «Non vogliamo bloccare la pesca - spiega Giorgia Monti di Greenpeace - ma regolamentarla nell’interesse di tutti, ed è fondamentale la collaborazione delle grandi aziende, che stanno cominciando a muoversi. Chiediamo il bando dei Fad e la chiusura della pesca per i grandi pescherecci a circuizione che, in una sola battuta, pescano quanto tre piccoli stati insieme». Tutto questo, poi, dovrebbe stare in etichetta: tecnica di pesca, provenienza della materia prima, specie utilizzata, data di cattura. Per avere consumatori più consapevoli bisogna fornire informazioni: sulla scatoletta.
Fonte: LAREPUBBLICA.IT
(04 giugno 2013)
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