(08-09-13) Tumore seno, farmaco biologico efficace ma cardiotossico
L'efficacia del farmaco biologico trastuzumab nel contrasto al tumore al seno Her2-positivo si accompagna a maggiori rischi cardiovascolari. Lo prova uno studio dei ricercatori dell'Istituto Mario Negri di Milano e della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, secondo cui sono più a rischio le donne anziane e con precedenti patologie cardiache.
Lo studio, pubblicato su Oncologist, ha preso in esame 2000 donne lombarde trattate con trastuzumab tra il 2006 e il 2009 perché affette da tumore della mammella in fase iniziale caratterizzato dal recettore Her2-positivo. Si tratta di donne che fanno parte di quel 15-25% di pazienti che hanno un'amplificazione del gene che determina la produzione del fattore di crescita Her2, cosa che si associa a maggiore aggressività del tumore, con maggior rischio di metastasi, ma anche a una comprovata maggiore sensibilità al trattamento con trastuzumab.
In particolare, i ricercatori hanno constatato che fra quelle 2000 pazienti, le donne che hanno sviluppato almeno un problema cardiaco di gravità tale da richiedere un'ospedalizzazione, «sono risultate pari al 2,6% del totale e fino a circa il 10% in pazienti con età superiore ai 70 anni».
I risultati della ricerca suggeriscono quindi - concludono i ricercatori - che il profilo rischio/beneficio del trastuzumab vada sottoposto a più attenta valutazione, al fine di elaborare strategie atte a ridurre il rischio di eventi cardiotossici in particolari sottogruppi di pazienti, quali donne anziane con più di 70 anni e con fattori di rischio cardiovascolari.
«Nel nostro studio - afferma Carlo La Vecchia (“Mario Negri” e Università di Milano) - abbiamo considerato unicamente eventi cardiaci di gravità tale da richiedere un'ospedalizzazione. Per esempio, abbiamo rilevato un'incidenza di ospedalizzazione per scompenso cardiaco congestizio dell'1,4%», che è circa 3 volte più elevata dell'incidenza di scompenso cardiaco congestizio severo verificata per il trattamento con chemioterapia (0,54%).
La questione relativa al fatto che la cardiotossicità sia imputabile al trastuzumab e non alle differenti caratteristiche delle popolazioni in studio, rimane oggetto di discussione. «Il fatto» conclude Alberto Zambelli, della Fondazione Maugeri «che il rischio cumulativo di cardiotossicità sia in aumento nei primi due anni dall'inizio della terapia con trastuzumab e resti invece stabile nel terzo anno dal termine del trattamento, sembra suggerire che la maggior parte degli eventi osservati siano realmente attribuibili al farmaco».
FONTI:
ONCOLOGIST. 2013;18(7):795-801.
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