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Le ricerche di Gerona 2005

(02-10-13) Anche il genere influenza sintomi sindrome coronarica acuta



Il dolore al petto rappresenta il sintomo più comune della sindrome coronarica
acuta nei pazienti con meno di 55 anni, ma non è sempre presente ed esistono
differenze nella sintomatologia di presentazione che distinguono gli uomini
dalle donne. Sono questi, in sintesi, i risultati di uno studio condotto da
Nadia A. Khan e colleghi e recentemente pubblicato sulla rivista Jama Internal
Medicine. Lo studio prospettico di coorte ha coinvolto 1.015 pazienti di età
uguale o inferiore a 55 anni ricoverati in ospedale per sindrome coronarica
acuta. Dall’analisi è emerso che in quasi tutti i pazienti coinvolti era
presente almeno un sintomo della sindrome (dolore al petto, respiro corto,
sintomi diversi dal dolore toracico come per esempio stanchezza, sudori freddi
o dolore al braccio e alla spalla sinistri) e che in particolare, il dolore al
petto è stato avvertito in più dell’80% dei pazienti, indipendentemente dal
sesso e dal tipo di problema coronarico. Nelle donne però l’assenza di dolore
al petto è risultata più comune che negli uomini (19,0% vs 13,7%) e in linea di
massima, in assenza di dolore al petto, le donne hanno mostrato un numero di
sintomi maggiore rispetto alla controparte maschile. L’analisi non è riuscita a
identificare un gruppo di sintomi legati in modo specifico alla presentazione
senza dolore toracico, ma ha dimostrato che non esiste un’associazione
indipendente tra questa presentazione e livelli di troponina, tipo di sindrome
ed estensione della stenosi. «Basarsi solo sul dolore al petto per
diagnosticare una sindrome coronarica acuta potrebbe portare a una mancata
identificazione del problema, soprattutto nelle giovani donne» spiegano gli
autori «e serve una valutazione standard dei sintomi che permetta di
individuare i casi sospetti anche nei pazienti senza il classico dolore
toracico». «Bisogna rivolgersi sia agli uomini sia alle donne con messaggi
chiari sui sintomi della sindrome coronarica acuta per permettere un accesso
precoce e più ampio ai trattamenti salva-vita» aggiunge Akintunde O. Akinkuolie
nell’editoriale di commento pubblicato sulla stessa rivista.

Fonti:
JAMA Intern Med. Published online September 16, 2013.
doctornews33

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