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Le ricerche di Gerona 2005

(22-10-13) Intolleranze alimentari, un disturbo “al femminile”



Le intolleranze alimentari fanno parte di un vasto gruppo di disturbi comunemente definiti “reazioni avverse al cibo”, ossia, reazioni anomale che seguono l’ingestione di un alimento, non provocate, come nel caso delle allergie alimentari, dal sistema immunitario ma da una incapacità dell’organismo a digerire correttamente un alimento o alcune sostanze.
Nonostante le prime osservazioni sui disturbi legati all’ingestione di cibo risalgano addirittura ai tempi di Ippocrate – il quale aveva osservato gli effetti negativi del consumo del latte di mucca -, le intolleranze alimentari rappresentano ancora un’area dibattuta della medicina: non sono perfettamente chiari, infatti, i meccanismi che ne sono alla base e persiste ancora molta incertezza sui test diagnostici utilizzati per accertarla e persino sulla sintomatologia che, essendo molto varia (mal di testa, mal di stomaco, nausea, diarrea, pancia gonfia e perdita di peso), è comune a più disturbi e patologie.
Eppure, numerose evidenze epidemiologiche suggeriscono che la diffusione delle intolleranze alimentari (tra cui le più frequenti sono l’intolleranza al lattosio e quella al glutine), dovuta in gran parte alle abitudini alimentari e agli stili di vita, è in continuo aumento: in media si stima che il malassorbimento di lattosio interessi il 40% della popolazione italiana e che 1 italiano su 100/150 sia affetto da morbo celiaco. In entrambi i casi si rilevano differenze di genere: la celiachia è infatti più comune nelle donne che, inoltre, riportano un inasprimento dei sintomi gastrointestinali rispetto alla controparte maschile.
Tanto per la celiachia quanto per l’intolleranza al lattosio, il primo approccio consiste nel modificare le abitudini alimentari e quindi nel seguire una dieta gluten-free e nel ridurre o eliminare gli alimenti che contengono lattosio.
Ma non basta. Oltre a portare a scelte obbligate a tavola, le intolleranze condizionano l’uso dei farmaci (in particolare dei medicinali che contengono lattosio e glutine come eccipienti) e quella del contraccettivo. Il danneggiamento della mucosa intestinale e i frequenti episodi di diarrea tipici delle intolleranze alimentari, infatti, interferiscono con l’assorbimento dei farmaci assunti per via orale (tra cui, ad esempio, la pillola anticoncezionale). Trascurare questi aspetti può compromettere l’efficacia delle terapie farmacologiche e dell’anticoncezionale e, quindi, esporre a seri rischi per la salute, in un caso, e a gravidanze indesiderate, nell’altro.
Occorre, quindi, che le persone affette da intolleranze alimentari informino il medico della propria condizione affinché possano essere indirizzate verso un percorso diagnostico appropriato. In particolare, è opportuno che le donne che presentano questi disturbi, e le manifestazioni tipiche delle intolleranze alimentari, parlino apertamente con il proprio ginecologo che potrà raccomandare il metodo contraccettivo che garantisca la maggiore affidabilità possibile. I contraccettivi ormonali che prevedono una via di somministrazione e di metabolizzazione alternativa a quella orale, come ad esempio la via transdermica (il cerotto) o quella vaginale (l’anello), rappresentano la soluzione più valida.
In particolare la prima si può rivelare la più indicata per le donne che soffrono di intolleranze: in una situazione già caratterizzata da disagio e disturbi addominali, la via vaginale poiché già di per sé associata a maggior frequenza di irritazioni vaginali con perdite e a dolore durante il rapporto sessuale (dispareunia) potrebbe non essere la scelta più adatta. Inoltre, processi flogistici a livello intestinale possono estendersi anche a livello vaginale e aumentare la suscettibilità alle vulvovaginiti da Candida. Dunque, anche e soprattutto in questi casi, meglio il contraccettivo transdermico.

Fonti:
· Accademia Lancisiana
· European Food Information Council (EUFIC)
· EpiCentro
· paginemediche.it

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