(28-01-14) Traumi cranici ledono cervello degli atleti
Anche in assenza di una franca commozione cerebrale, esiste uno stretto legame fra traumi cranici, sostanza bianca e disturbi cognitivi quali memoria e capacità di concentrazione, almeno tra gli atleti statunitensi che praticano sport che contemplano contatto fisico, come football americano e hockey su ghiaccio. «Sono necessari ulteriori studi per valutare se tali effetti siano di breve durata oppure abbiano carattere persistente» affermaThomas McAllister, neurologo della Indiana University School of Medicine di Indianapolis e coautore di uno studio appena pubblicato su Neurology. «La sostanza bianca gioca un ruolo importante nel determinare la velocità dei segnali nervosi, e c’è crescente preoccupazione che i traumi cranici subiti durante gli sport di contatto possano condurre a esiti preoccupanti, tra cui il declino a lungo termine delle facoltà cognitive in un quadro di encefalopatia traumatica cronica» aggiunge il ricercatore, rilevando che gli studi in questo campo, quasi sempre focalizzati sui casi di commozione cerebrale diagnosticata, sono pochi e contraddittori. Alcuni riportano indici cognitivi anomali sia durante sia dopo la stagione agonistica, mentre altri mostrano miglioramenti cognitivi dopo il campionato. E data la scarsità di ricerche sui traumi cranici ripetuti negli atleti senza commozione cerebrale, i ricercatori hanno verificato l'ipotesi che la partecipazione a una stagione di sport di contatto potesse provocare danni dose-dipendenti alla sostanza bianca e alle prestazioni cognitive anche senza commozioni cerebrali conclamate. I giocatori sono stati valutati prima e poco dopo la stagione con scansioni cerebrali e test di apprendimento e di memoria. E i risultati confermano. «Abbiamo trovato differenze nella sostanza bianca cerebrale nel 20 per cento di questi atleti rispetto all’11 per cento dei coetanei che praticano sport senza contatto fisico, come corsa su pista, maratona e sci di fondo. E le modifiche strutturali erano più evidenti in chi totalizzava i risultati peggiori nei test cognitivi» conclude McAllister.
Fonti:
doctornews33
Neurology 2014;82:63–69
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