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Le ricerche di Gerona 2005

(31-01-14) Donne anziane, ma quanto sedentarie?



Le donne anziane spendono i due terzi del loro tempo da sveglie in comportamenti sedentari ripetuti, che durano di solito meno di mezz’ora. Ecco ciò che emerge da uno studio pubblicato su Jama, in cui le oltre settemila partecipanti, età media di 71 anni, hanno indossato un accelerometro per misurare le attività giornaliere e la loro distribuzione. Dice Eric Shiroma, ricercatore alla Harvard School of Public Health di Boston, Massachusetts, e primo autore della lettera di ricerca: «Studi recenti suggeriscono che il comportamento sedentario è un fattore di rischio non solo cardiovascolare, ma anche per molte altre malattie. Ciononostante, poco si sa sulla ripartizione di tale comportamento nell’arco della giornata, cioè se la sedentarietà viene mantenuta per lunghi o brevi periodi di tempo, e se questa distribuzione incide sullo stato di salute». Così Shiroma e colleghi hanno verificato in dettaglio le attività giornaliere di 7.247 donne anziane alle quali è stato chiesto di indossare un accelerometro per 7 giorni durante le ore di veglia. «Le donne hanno portato l’apparecchio per una media di 14,8 ore al giorno, e la percentuale media del tempo trascorso in comportamenti sedentari è stata del 65,5%, pari a una media di 9,7 ore al giorno» riprende il ricercatore statunitense, precisando che un comportamento sedentario corrispondeva ai periodi, misurati in minuti, in cui l’apparecchio registrava meno di 100 impulsi ogni sessanta secondi. Viceversa, una pausa nel comportamento sedentario si verificava quando il dispositivo percepiva più di cento impulsi per oltre un minuto. «Gran parte dei periodi di inattività erano inferiori alla mezz’ora, tanto che gli intervalli di durata superiore ai trenta minuti erano il 4,8%, cioè il 31,5% dell’inattività totale. «Se studi futuri dimostreranno che lo stato di salute può essere influenzato dalla distribuzione giornaliera del comportamento sedentario, questi dati potranno essere utili» conclude Shiroma.

Fonti: doctornews33
JAMA. 2013;310(23):2562-2563

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