(14-02-14) Placche coronariche: se sono più dense rischio cardiovascolare diminuisce
Da uno studio pubblicato su Jama emerge che uno dei modi più noti per predire il rischio cardiaco, cioè la misura delle calcificazioni coronariche (Cac), ha bisogno di una rivalutazione. «Va stimato non solo il volume ma anche la densità delle placche, che risulta essere inversamente associata alla probabilità di futuri eventi cardiovascolari» afferma Michael Criqui, ricercatore all’Università di California a San Diego e coautore dell’articolo. «Secondo gli attuali sistemi di punteggio una maggiore densità delle calcificazioni è più pericolosa. E anche secondo i nostri dati l’estensione della calcificazione è un indice prognostico sfavorevole, ma lo è meno con placche coronariche più dense». Il modo più usato per calcolare il punteggio delle calcificazioni è il metodo Agatston, che consiste nel moltiplicare l’area della calcificazione per il suo massimo valore di attenuazione, espresso in unità Hounsfield (HU) e rilevato da una Tc senza contrasto. «Tradizionalmente, se non ci sono calcificazioni nelle coronarie del paziente le probabilità di avere un attacco di cuore nei successivi 2-5 anni sono basse. Il rischio sale, invece, di pari passo all’estensione delle placche» sottolinea il ricercatore, che assieme ai colleghi ha seguito per oltre sette anni 3.398 soggetti fra i 45 e gli 84 anni di quattro gruppi etnici: non ispanici bianchi, afro-americani, cinesi e ispanici, senza patologie cardiovascolari note. «La misurazione Cac si è confermata un’ottima misura subclinica del rischio cardiovascolare, ma l’efficienza predittiva del punteggio Agatston può essere migliorata calcolando non solo l’estensione delle placche, ma anche la loro densità: con calcificazioni più dense le probabilità di attacchi cardiaci calano» prosegue Criqui, citando studi in cui i soggetti con placche iperdense avevano un rischio coronarico inferiore rispetto a quello di chi, invece, le aveva ipodense. «Se le calcificazioni sono di densità maggiore, sono anche più stabili e meno soggette a pericolose rotture» osserva il cardiologo. E conclude: «Per questo le statine potrebbero avere un ruolo protettivo nella malattia coronarica: il loro uso porta a una maggiore calcificazione vascolare e quindi a una maggiore stabilizzazione, che probabilmente dipende dalla riduzione del contenuto lipidico della placca ateromasica».
Fonti:
JAMA. 2014 Jan 15;311(3):271-8.
doctornews33
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