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Le ricerche di Gerona 2005

(01-03-14) Una dieta più sana, e non la recessione, riduce l’obesità





Il cibo spazzatura è all’inizio della fine? Hamburger, hot dog, patatine fritte e soft drink stanno tirando gli ultimi? Forse non proprio ma, almeno negli Stati Uniti, i consumatori stanno modificando il comportamento alimentare negli acquisti e nella scelta dei cibi, dando prova di un cambio di rotta. «E non per le mutate condizioni economiche della Grande Recessione o per i prezzi dei prodotti alimentari: forse, invece, la politica di salute pubblica dell’ultimo decennio ha contribuito alla variazione di tendenza» esordisce Shu Wen Ng, professore associato di nutrizione clinica all’Università del North Carolina di Chapel Hill e prima firmataria di uno articolo appena pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition. «Il cibo spazzatura, ricco in grassi e zuccheri, ha un basso valore nutrizionale ed è un concreto rischio per malattie come l'obesità, il diabete, i disturbi cardiovascolari e alcuni tipi di cancro, tanto per citarne alcune» riprende la nutrizionista, sottolineando che merendine, cole, aranciate, biscotti, salatini, tramezzini e patatine sono fonti di calorie in assenza di nutrienti: per questo si può essere obesi e malnutriti. Ma non basta: i junk foods, o forse è meglio chiamarli killer foods, sono tra i principali responsabili di una vera e propria pandemia che vede obesità e diabete in crescita esponenziale a causa di consumi e stili alimentari poco sani. E a pagarne le spese non sono solo gli Stati Uniti, ma anche il vecchio continente. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la prevalenza di obesità giovanile in Europa è 10 volte maggiore rispetto agli anni settanta. Il 20% dei bambini europei è obeso o sovrappeso, con un picco tra 6 e 9 anni. E l’Italia non è da meno: per l’indagine Okkio alla salute, un programma di promozione della salute tra i bambini della scuola primaria coordinato dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Istituto superiore di sanità, oltre un bimbo su tre fra 6 e 11 anni pesa troppo: il 12,3% è obeso, e il 23,6% è sovrappeso. Ma secondo i ricercatori di Chapel Hill la tendenza, almeno in Nordamerica, sembra perdere forza, mostrando un livellamento dei tassi di obesità. «E non per la congiuntura economica, ma grazie al miglioramento delle abitudini alimentari» dice Shu Wen Ng. E continua: «Secondo alcuni esperti l’obesità è meno probabile perché la crisi economica costringe a mangiare di meno. Noi, invece, pensiamo che gli sforzi per educare gli americani ad adottare abitudini alimentari sane stiano dando frutti». La prova sta nei numeri, da cui emerge che i consumatori statunitensi hanno cambiato il modo di fare la spesa a partire dal 2003, quando l'economia era solida. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno analizzato i dati raccolti da più di 13.400 bambini e quasi 10.800 adulti tra il 2003 e il 2011, nonché quelli di oltre 57.000 famiglie con bambini e quasi 109.000 famiglie senza figli, scoprendo che le calorie in eccesso sono diminuite più nei bambini che tra gli adulti. «Ma non sono cali uniformi» commenta Barry Popkin, professore di nutrizione all’Università del North Carolina e coautore dello studio. Le riduzioni più significative sono tra le famiglie con bambini. Nessun cambiamento, invece, è stato osservato negli adolescenti fra 12 e 18 anni, nei bambini neri e in quelli i cui genitori non hanno completato la scuola superiore. «Forse non tutti vogliono, o possono, modificare le loro abitudini alimentari» conclude Popkin.

Fonti: Am J Clin Nutr March 2014 ajcn.072892; First published January 15, 2014


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