(29-05-14) Resistenza agli antibiotici
Il problema delle resistenze agli antibiotici sta diventando di anno in anno sempre più drammatico e, se non viene fermato, arriverà un brutto giorno (nemmeno troppo remoto) in cui gli antibiotici saranno praticamente inutili. L'utilizzo su larga scala della penicillina, il primo antibiotico scoperto ed utilizzato in campo umano, risale all'inizio della seconda guerra mondiale.
Da allora sono passati meno di 70 anni e abbiamo ora a disposizione decine e decine di antibiotici differenti, ognuno con una sua propria modalità di azione, ognuno con una famiglia di germi su cui agire, ognuno dotato di caratteristiche peculiari ed effetti collaterali.
Eppure, con un arsenale di armi così ben fornito, si rischia alla lunga di perdere la guerra contro i batteri ed i funghi (i virus sono poco sensibili agli antibiotici e contro di essi le armi sono altre). Perché tutto questo? Vengono usate delle armi molto potenti in modo sbagliato, principalmente per questi motivi:
gli antibiotici vengono prescritti quando non ce n'è bisogno
le dosi di antibiotici sono insufficienti
i tempi della terapia sono insufficienti
gli antibiotici usati sono sbagliati
Gli antibiotici vengono prescritti quando non ce n'è bisogno
L'antibiotico possiede diversi modi di agire, ma sostanzialmente attacca la cellula batterica e la distrugge. Per poter esercitare appieno la sua azione, ovviamente, deve esserci una cellula batterica da poter colpire. Lo sbaglio principale sta nell'utilizzare antibiotici per combattere infezioni virali (e abbiamo detto che i virus non sono di fatto distrutti dagli antibiotici). Nei bambini, ad esempio, la quasi totalità delle infezioni che colpiscono le alte vie respiratorie (e quindi le infezioni più comuni in quella fascia di età) sono causate da virus, ma proprio in età pediatrica il ricorso agli antibiotici è massiccio. Perché?
Per paura di non guarire il bimbo ammalato, per sollecitazione insistente da parte dei genitori, per evitare possibili grane legali, per rendere più veloce la guarigione: insomma, tutta una serie di cause che vengono raggruppate sotto la dizione 'medicina difensiva', che spingono il medico a prescrivere farmaci là dove non ce n'è assolutamente bisogno.
Il danno però non consiste solamente nell'uso inutile di un farmaco: l'antibiotico agisce sui batteri normalmente presenti nell'intestino, uccidendoli o modificandoli e causando quindi effetti collaterali negativi, senza contare il fatto che l'uso scriteriato può provocare l'insorgenza di resistenza nei batteri saprofiti, che a loro volta possono trasmettere questa resistenza ai batteri patogeni, innescando quindi una reazione a catena che di fatto finisce con il rendere inutile l'uso dell'antibiotico quando ce n'è veramente bisogno.
Le dosi di antibiotici sono insufficienti
Il secondo sbaglio deriva dalla convinzione che gli antibiotici 'fanno male' e quindi meno se ne usa meglio è, convinzione assolutamente vera nella sua prima parte (ogni farmaco, e quindi anche gli antibiotici, possiede effetti collaterali negativi, quindi 'fa male') ed altrettanto sbagliata nella seconda parte (la dose di un antibiotico deve essere corretta, secondo quanto individuato dagli studi di farmacologia che tengono conto del suo assorbimento, della dose in grado di distruggere i microbi, del tempo di permanenza nel corpo umano, della sua eliminazione, dei suoi effetti positivi e negativi).
Utilizzare un antibiotico a dosaggio inferiore è il metodo migliore per creare resistenze: i batteri non vengono distrutti completamente dall'insufficiente concentrazione di antibiotico e diventano resistenti al farmaco, trasmettendo questa resistenza ai loro simili.
I tempi della terapia sono insufficienti
Il terzo punto è sovrapponibile al precedente: quando si parla di dose efficace di un antibiotico non ci si riferisce solamente alla quantità utilizzata ma anche al tempo di impiego. Mediamente, salvo rare eccezioni, un antibiotico deve essere assunto per 8-10 giorni, e non certo solamente fino alla guarigione clinica. Questo è un concetto difficile da accettare per la maggior parte dei pazienti, ma la guarigione clinica (cioè la scomparsa della sintomatologia) non coincide necessariamente con la guarigione batteriologica (distruzione di 'tutti' i batteri): se si interrompe l'assunzione dell'antibiotico troppo presto, si lasciano integre alcune colonie batteriche, che possono divenire pertanto resistenti all'antibiotico stesso e vanificarne l'efficacia in un successivo utilizzo.
Gli antibiotici usati sono sbagliati
L'ultimo punto (la scelta dell'antibiotico migliore per la patologia) è di stretta competenza medica: sono stati creati antibiotici che agiscono su grosse quantità di microbi, anche su batteri con struttura differente. Sono i cosiddetti antibiotici 'ad ampio spettro di azione', e sono estremamente comodi quando non si conosce il tipo di batterio infettante o quando le infezioni sono causate da sovrapposizione di specie batteriche differenti.
Non ha alcun senso utilizzarli nelle infezioni causate da microbi ben noti e sensibili ad antibiotici ad azione più limitata: sarebbe come sparare ad una zanzara con una mitragliatrice: i danni che si ottengono supererebbero di gran lunga i benefici. Quindi, se l'infezione che si deve curare è molto probabilmente causata da un particolare microbo, è logico utilizzare un antibiotico che agisca solamente o prevalentemente su quel microbo, senza andare ad attaccare le altre specie batteriche, che verrebbero solamente 'scalfite' dal farmaco senza esserne distrutte completamente, con la conseguente nascita della resistenza batterica.
Concludendo, e riprendendo i 4 punti suddetti, occorre che sia il medico curante sia il paziente tengano ben presente i seguenti punti, irrinunciabili:
non usare antibiotici se non si è certi della natura batterica dell'infezione;
prescrivere l'antibiotico a dose corretta;
assumere l'antibiotico per il tempo sufficiente ad ottenere la pienezza dell'efficacia;
non utilizzare antibiotici ad ampio spettro di azione quando è sufficiente un antibiotico ad azione più mirata.
FONTE: PAGINEMEDICHE.IT
Data pubblicazione mer, 23 apr 2014
Data ultima modifica mer, 23 apr 2014
A cura di:
Dott. Enzo Brizio - Medico di famiglia
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