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Le ricerche di Gerona 2005

(14-07-14) Ipertensione e malattie cardiovascolari: rischi diversi a seconda dell’età


L’aumento dei valori di pressione sistolica e diastolica può avere effetti cardiovascolari differenti in diverse fasce di età, secondo uno studio britannico pubblicato su un numero di The Lancet che precede Hypertension 2014, il convegno dell’European society of hypertension (Esh) e dell’International society of hypertension (Ish), in programma ad Atene fra il 13 e il 16 giugno prossimi. «Inoltre, negli individui con sistolica alta aumenta il rischio di ictus emorragico, di emorragia subaracnoidea e di angina stabile, mentre l’aumento della diastolica alza le probabilità di rottura di un aneurisma aortico addominale» spiega Eleni Rapsomanikidell’Institute for health informatics farr research di Londra e coautrice dello studio, il primo a esplorare gli effetti della pressione sanguigna sul rischio di 12 differenti condizioni cardiovascolari in vari gruppi di età nell’ambito delle cure primarie in Inghilterra. I ricercatori hanno esaminato i dati pressori utilizzando le cartelle cliniche elettroniche di 1,25 milioni di pazienti senza evidenti malattie cardiovascolari e con un’età di 30 anni e più, seguiti in media per 5 anni dal loro medico di medicina generale fino al primo evento cardiovascolare. «Abbiamo calcolato anche il rischio di sviluppare differenti malattie cardiovascolari correlate all’ipertensione fra 30 e 80 anni di età» riprende la ricercatrice. E i risultati mostrano che nonostante i progressi nel trattamento, l’ipertensione rimane una minaccia costante nell’arco della vita. Per esempio, in un trentenne iperteso il rischio cardiovascolare risulta del 63%, contro il 46 di un normoteso. E l’angina, stabile e instabile, occupa quasi metà degli anni passati con malattie di cuore e vasi in questa fascia di età, mentre l'insufficienza cardiaca giustifica un quinto degli anni di salute persi per disturbi cardiovascolari negli individui di 80 anni e più. Secondo Rapsomaniki l’invecchiare della popolazione rende necessarie nuove strategie antipertensive. «Le nostre stime forniscono importanti informazioni che possono migliorare il processo decisionale sul trattamento dell’ipertensione, stratificandolo in base alle fasce di età in cui la pressione comincia a salire e alle malattia dove il rischio è più alto» conclude la ricercatrice. E in un editoriale sullo stesso numero della rivista Thomas Kahan, del Karolinska institutet di Stoccolma in Svezia, commenta: «Nonostante l’indiscussa efficacia della terapia, gli studi finora svolti suggeriscono che a raggiungere un soddisfacente controllo pressorio con i farmaci prescritti e solo una parte dei pazienti. E ciò significa che resta molta strada da fare, anche nell’ambito delle cure primarie: valutare il rischio cardiovascolare nel singolo paziente; migliorare supporto e formazione dei caregiver; aumentare l’aderenza alla terapia; incrementare l'uso del monitoraggio pressorio domiciliare delle 24 ore; considerare le la possibilità di forme secondarie di ipertensione nei pazienti difficili da trattare. E, infine, indirizzare a un centro specialistico i pazienti con malattia non controllata». 

SOURCES:
The Lancet, 31 May 2014; 383(9932): 1899-1911. doi:10.1016/S0140-6736(14)60685-1
The Lancet, 31 May 2014; 383(9932): 1866-1868. doi:10.1016/S0140-6736(14)60896-5
doctornews33

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