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Le ricerche di Gerona 2005

(08-10-14) Memoria: un componente del luppolo, contenuto anche nella birra, aiuta le funzioni cognitive




Con il passare degli anni purtroppo la memoria si indebolisce pur non soffrendo di alcuna malattia del cervello. La prevenzione, sicuramente, non elimina il problema ma ci può aiutare a mitigare gli effetti del tempo che passa sulle nostre capacità neurologiche.
E allora condurre uno stile di vita sano e mantenere attivo il cervello rimangono due fondamenti importanti ma sembrerebbe che anche una moderata e consapevole assunzione di una bevanda come la birra, possa aiutare. A sostenerlo è un gruppo di ricercatori della Oregon State University che hanno condotto uno studio, per ora su modello animale, in cui emerge che i soggetti giovani beneficiano di un flavonoide chiamato Xantumolo che si trova in un ingrediente della birra: il luppolo.
La molecola polifenolica è stata ritenuta efficace nel promuovere le funzioni cognitive e la memoria. Il team di ricerca è partito dall’osservare se lo Xantumolo influenzasse un processo biologico naturale che negli anziani può divenire dannoso. Il processo, chiamato palmitoilazione, è una modificazione di proteine, di cui molte implicate nella trasmissione intracellulare di segnali.
Del resto lo Xantumolo era già stato utilizzato con successo per ridurre il peso e i livelli di zucchero nel sangue in persone obese ed era stato ritenuto interessante per il possibile trattamento della sindrome metabolica - una condizione associata all’obesità - la pressione alta e i deficit della memoria legati all’età.
I test condotti dagli studiosi americani hanno mostrato che lo Xantumolo accelera il metabolismo, riduce gli acidi grassi nel fegato e, con i giovani topi, ha migliorato la loro flessibilità cognitiva o il pensiero di livello superiore. Al contrario però, la palmitoilazione non è stata ridotta nei topi anziani, né ha migliorato l’apprendimento o le performance cognitive. Ovviamente lo studio ha utilizzato un integratore di Xantumolo e non birra. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Behavioural Brain Research.


Fonti:
PAGINEMEDICHE.IT
Oregon State University
Data pubblicazione ven, 26 set 2014
Data ultima modifica ven, 26 set 2014

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