(17-11-14) Obesità: il dimagrimento lento non è meglio di quello rapido
Contrariamente a quanto suggeriscono le attuali raccomandazioni, una perdita di peso lenta ma costante non migliora il decremento ponderale né riduce il tasso di riacquisto dei chili persi rispetto a un calo di peso accelerato, almeno secondo una ricerca pubblicata su The Lancet diabetes & endocrinology. Lo studio, coordinato da Joseph Proietto, professore di medicina presso l'Università di Melbourne e capo della clinica controllo del peso all’Austin health hospital di Heidelberg in Australia, si proponeva di esaminare se perdere peso a un ritmo lento, come raccomandato dalle linee guida, portasse da un lato a una maggiore riduzione ponderale e dall’altro a un minor tasso di riguadagno del peso perso. Al trial hanno preso parte 200 adulti obesi con indice di massa corporea (Bmi) fra 30 e 45 kg/m², assegnati in modo casuale a due diversi programmi: il primo era un dimagramento rapido in 12 settimane basato su una dieta a introito calorico ridotto, da 450 a 800 chilocalorie giornaliere (kcal/die) in meno. L’altro programma, invece, implementava un calo ponderale lento da raggiungere in 36 settimane tramite una riduzione dell’apporto energetico di circa 500 kcal/die. «La fase successiva dello studio prevedeva di sottoporre i soggetti nei quali il decremento di peso corporeo era stato maggiore del 12,5% a una dieta di mantenimento da proseguire per tre anni sotto controllo medico» spiega l’autore. E a conti fatti i ricercatori hanno scoperto un primo dato interessante: i membri del gruppo di dimagramento rapido avevano maggiori probabilità di raggiungere l'obiettivo del 12,5% di perdita di peso. Obiettivo centrato o addirittura superato dai quattro quinti dei partecipanti al programma rapido rispetto alla metà di quelli del gruppo dimagrimento lento. Il secondo dato rilevante emerso dallo studio è che il tasso iniziale di perdita di peso, rapido o lento che fosse, non ha influenzato la quantità di chili persi o il tasso di riacquisto ponderale dei pazienti inseriti in dieta di mantenimento. «Per dirla in numeri, un progressivo riguadagno di chili persi si è verificato in circa il 71% dei membri di entrambi i gruppi. Aggiunge Katrina Purcell, dietista all’Università di Melbourne e prima autrice dell’articolo: «Le linee guida di tutto il mondo raccomandano una graduale perdita di peso per il trattamento dell'obesità, il che riflette la convinzione diffusa che un veloce decremento ponderale viene riguadagnato con altrettanta rapidità». Convinzione smentita dalle osservazioni dei ricercatori australiani, che suggeriscono alcune possibili spiegazioni. La prima è che l’introito di carboidrati, molto limitato nelle diete ipocaloriche spinte, potrebbe aumentare il senso di sazietà, e dunque portare a una minore assunzione di cibo, inducendo chetosi. «Ridurre l'assunzione di zuccheri costringe il corpo a bruciare grassi, inducendo chetosi. E i chetoni sono prodotti del catabolismo adiposo noti per sopprimere la fame» puntualizza Proietto. E conclude: «Una rapida perdita di peso potrebbe anche motivare i partecipanti a persistere con la loro dieta, portandoli a risultati migliori».
Fonti: The Lancet Diabetes & Endocrinology, October 2014. doi:10.1016/S2213-8587(14)70200-1
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