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Le ricerche di Gerona 2005

(07-01-15) Quando l’udito in tilt limita le abilità cognitive




Per chi sente poco si aprono le porte ai deficit cognitivi. I meccanismi attraverso cui si realizza questa situazione sono probabilmente diversi. Potrebbe esistere un processo fisiologico comune che contribuisce sia all'ipoacusia, sia al declino cognitivo, così come potrebbe entrare in gioco lo stress esercitato sul cervello dal continuo sforzo di comprensione dovuto a un deficit uditivo. Ma ci sono altre ipotesi. Ad esempio c'è chi pensa che la perdita di udito possa modificare la struttura del cervello, contribuendo così allo sviluppo di problemi cognitivi oppure che tutto sia dovuto al meccanismo di esclusione sociale e quindi intellettiva causato dai deficit uditivi. In ogni caso appare evidente che spesso l'ipoacusia può favorire lo sviluppo di deficit cognitivi. Lo dicono anche i numeri che emergono dalle ricerche di Frank Lin, della Johns Hopkins University di Baltimora, aprono uno squarcio sui rapporti tra deficit uditivi e difficoltà cognitive. Secondo uno studio condotto l'anno scorso dallo scienziato su 1984 anziani (età media di 77 anni), monitorati per sei anni, chi presenta una forma significativa di ipoacusia, che non permette di intrattenere conversazioni, avrebbe il 24 per cento di probabilità in più di compromettere le proprie abilità cognitive, come concentrazione, memoria e capacità di pianificazione. Non solo: sempre dal ricercatore arrivano altri "avvisi" per chi sente poco. Una ricerca su 639 persone seguite per oltre 12 anni ha dimostrato come un moderato disturbo dell'udito possa aumentare di tre volte il rischio di sviluppare una forma di demenza.

Fonte: edott.it

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