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Le ricerche di Gerona 2005

(11-01-15) Bassi livelli di vitamina D e aumento di mortalità, non cardiovascolare




Livelli di vitamina D geneticamente bassi si associano a un aumento della mortalità per qualsiasi causa, tra cui il cancro, ma non dei decessi cardiovascolari, secondo uno studio danese pubblicato su Bmj. Precedenti studi suggeriscono che basse concentrazioni di vitamina D si legano a un aumento della mortalità, ma senza chiarire se l’incremento dei decessi dipenda dalla carenza vitaminica o sia conseguenza di un cattivo stato di salute. «E la domanda è importante, dato che milioni di persone al mondo assumono supplementi di vitamina D con l'obiettivo di prevenire le malattie per vivere più a lungo» osserva Borge Nordestgaard, biochimico al Copenhagen university hospital di Herlev in Danimarca e coautore dell’articolo. Assieme ai colleghi, il ricercatore ha verificato con la tecnica di randomizzazione mendeliana se livelli geneticamente bassi di vitamina D fossero associati a un aumento di mortalità. Allo studio hanno preso parte 95.766 danesi con varianti genetiche note per influenzare i livelli di vitamina D. «Abbiamo preso nota anche di altri fattori di rischio comuni tra cui il fumo, il consumo di alcol, i livelli di attività fisica, la pressione arteriosa, i livelli di colesterolo e l’indice di massa corporea» dice l’autore. E dai risultati ottenuti emerge effettivamente che bassi livelli di vitamina D si associano a un aumento di mortalità per tutte cause, cancro compreso, senza peraltro modificare il tasso di decessi cardiovascolari. «Le implicazioni cliniche di questi dati restano limitate, e l’aggiunta di vitamina D alla dieta può essere raccomandata solo dopo che i suoi benefici verranno dimostrati in modo definitivo da studi randomizzati con adeguata casistica» sottolinea Naveed Sattar, professore di medicina metabolica all’Institute of cardiovascular and medical science dell’università di Glasgow, nel Regno Unito. In altri termini, non bisogna sopravvalutare i risultati dello studio, ammonisce l’autore dell’editoriale di commento, concordando tuttavia che la randomizzazione mendeliana è un utile strumento di ricerca clinica. «Dato che gli studi di coorte sulla supplementazione di vitamina D inizieranno nel 2017, non bisognerà aspettare troppo per sapere se l’approccio mendeliano è quello più corretto» conclude Sattar.

Fonti:
BMJ. 2014 Nov 18;349:g6599. doi: 10.1136/bmj.g6599
BMJ. 2014 Nov 18;349:g6330. doi: 10.1136/bmj.g6330 
doctornews33

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