(13-02-15) I practitioner inglesi fanno poco per contrastare sovrappeso e obesità
L'analisi delle cartelle cliniche anonimizzate di oltre 90.000 adulti sovrappeso e obesi censiti dal database Clinical Practice Research Datalink britannico tra il 2005 e il 2012 rivela che i general practitioner britannici fanno troppo poco - e spesso non sembrano fare nulla - per provare a favorire la perdita di peso dei propri assistiti. Lo studio, diretto da Helen Booth del Department of Primary Care and Public Health Sciences del King's College di Londra e pubblicato sulla rivista Bmj Open, è stato reso possibile dall'esistenza del database Clinical Practice Research Datalink, che raccoglie le cartelle cliniche informatizzate di oltre il 5% della popolazione del Regno Unito, condivise da 680 ambulatori di medicina generale. Booth e colleghi hanno passato in rassegna le cartelle cliniche cercando di capire se e quali fossero state discusse, raccomandate o prescritte tra tutte le opzioni disponibili per la gestione del peso, dalle modifiche dello stile di vita, alla consulenza specialistica, alla prescrizione di farmaci.
I pazienti, con età media di 56 anni, erano per il 60% sovrappeso, e per il 40% obesi, tra cui un 5% era gravemente obeso con un indice di massa corporea pari o superiore a 40. Negli anni compresi tra il 2005 e il 2012, il 90% circa di questi pazienti non ha visto registrare in cartella alcun tipo di intervento per la gestione del peso (su questi pazienti molti ambulatori non risultano aver effettuato interventi in assoluto, nello stesso periodo).
La probabilità di qualche atto medico è apparsa correlata con la gravità del sovrappeso, anche se ben per l'80% dei pazienti obesi il medico non ha fatto nulla, e anche nel caso della esigua minoranza di gravemente obesi ben tre su cinque (59%) sono stati di fatto abbandonati al proprio destino, anche se i ricercatori segnalano che il quadro - davvero molto preoccupante - potrebbe essere influenzato da una carenza nel documentare in cartella le attività di counselling.
FONTI:
BMJ Open 2015;5:e006642. doi:10.1136/bmjopen-2014-006642
doctornews33
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