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Le ricerche di Gerona 2005

(19-03-15) Celiachia, diagnosi triplicata nel Regno Unito. In Italia mancano i registri



Negli ultimi 20 anni i tassi di celiachia nel Regno Unito sono quasi triplicati tra i bambini di oltre 2 anni di età, e quasi raddoppiati considerando tutti i casi riscontrati dalla nascita ai 18 anni. Questo, almeno, è quanto emerge da uno studio su Archives of disease in childhood, prima autrice Fabiana Zingone del dipartimento di Medicina e chirurgia all'Università di Salerno. «Negli Stati Uniti e nelle popolazioni pediatriche dell'Europa occidentale la sieroprevalenza della malattia è di circa 1%, ma la diagnosi bioptica indica un aumento della prevalenza» spiega la ricercatrice, che assieme ai coautori ha valutato una coorte di ragazzi sotto i 18 anni registrati all'Health improvement network, un database nazionale di cure primarie che include la documentazione sanitaria raccolta tra il 1993 e la fine del 2012. «Tra i 2.063.421 bambini inclusi nel database durante il periodo di studio, i nuovi casi di malattia celiaca sono stati 1.247, per un'incidenza complessiva dell'11,9 per 100.000 anni-persona, mentre il tasso globale di diagnosi nel periodo 2008-2012 è risultato superiore del 75% a quello osservato nel 1993-1997» riprende l'epidemiologa, puntualizzando che gran parte dell'incremento è stato osservato tra i bambini sopra i due anni, nei quali il tasso diagnostico è quasi triplicato. E quando i ricercatori hanno suddiviso la casistica per sesso, hanno visto un incremento del 39% tra i ragazzi e di poco più del doppio tra le femmine. Sottolinea Zingone: «In Italia non esistono studi analoghi che consentano di valutare le tendenze diagnostiche della celiachia negli ultimi decenni, anche a causa della mancanza di registri su base nazionale». Ma se in Gran Bretagna l'aumento delle diagnosi riflette il miglioramento dei programmi di diagnosi precoce e una maggiore consapevolezza clinica, allora gli strati socioeconomici più alti dovrebbero avere un tasso di diagnosi più elevato rispetto ai gruppi economicamente e socialmente più svantaggiati, che hanno meno accesso alle cure sanitarie. E l'analisi statistica rivela in effetti un gradiente diagnostico tra gruppi socio-economici, con un tasso di diagnosi dell'80% superiore nei bambini delle aree più agiate rispetto a quelli delle zone più svantaggiate. «La correlazione inversa tra povertà e diagnosi di malattia celiaca è evidente in entrambi i sessi a tutte le età in tutto il Regno Unito» sottolineano i ricercatori, che attribuiscono la differenza a maggiori opportunità diagnostiche tra i benestanti, svalutando il ruolo della teoria igienica che sostiene l'importanza di proteggere i bambini da ambienti poco igienici in quanto le infezioni precoci sono un fattore di rischio per la malattia celiaca. «Inoltre, troppo poco si sa circa la composizione delle diete senza glutine nei diversi assetti socio-economici, per poter ipotizzare che l'alimentazione giochi un ruolo nella suscettibilità alla malattia» dice Zingone, commentando che un limite dello studio è l'impossibilità di stabilire le cause dell'influenza socioeconomica sul tasso di diagnosi della celiachia. «Le campagne di sensibilizzazione e la scrupolosa attuazione delle linee guida diagnostiche possono comunque contribuire a identificare tutti i bambini celiaci, riducendo le disuguaglianze di censo» conclude l'epidemiologa.

FONTE: Arch Dis Child. 2015 Jan 22. doi: 10.1136/archdischild-2014-307105

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