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Le ricerche di Gerona 2005

(29-03-15) Dimagrire, una buona medicina contro la fibrillazione atriale



Una buona medicina, per la fibrillazione atriale, è dimagrire. Persone obese, che riducono di almeno il dieci per cento il loro peso corporeo, hanno sei volte più probabilità di ritornare stabilmente a un normale ritmo cardiaco rispetto a chi invece non riesce a smaltire i chili di troppo. Lo studio, presentato al meeting annuale dell’American Society of Cardiology in corso a San Diego, è il primo ad analizzare gli effetti a lungo termine di una dieta e delle fluttuazioni del peso su un disturbo del ritmo che è piuttosto frequente, la fibrillazione atriale appunto. Arrivando alla conclusione che le persone che perdono peso e riescono a mantenerlo stabile, in un periodo di tempo di quattro anni, controllano meglio il disturbo e hanno forme meno gravi.
SINTOMI
«Ricerche precedenti – ha commentato Rajeev Pathak, cardiologo all’University of Adelaide (Australia) – hanno dimostrato che il controllo del peso può ridurre i sintomi della fibrillazione atriale (palpitazioni, mancanza d’aria, svenimenti e stanchezza, fino al rischio di andare incontro a un ictus ndr) nel breve termine e migliorare i risultati degli interventi di ablazione (la terapia chirurgica, ndr) . Noi invece abbiamo indagato gli effetti a lungo termine». I ricercatori hanno coinvolto nello studio 335 pazienti, tutti obesi e tutti con fibrillazione atriale, e li hanno seguiti per quattro anni. Per aiutarli a dimagrire hanno adottato un approccio motivazionale che includeva tre visite alla settimana, un regime dietetico personalizzato, la pratica di un esercizio fisico di bassa intensità e la compilazione di un diario giornaliero relativo alla dieta e all’attività fisica. Successivamente hanno controllato i pazienti una volta all’anno con un esame clinico e con un elettrocardiogramma. 
FLUTTUAZIONI
Per valutare la frequenza, la durata e la gravità dei sintomi i pazienti si sono sottoposti a un monitoraggio Holter (la registrazione in continuo dell’elettrocardiogramma) per sette giorni e a un ecocardiogramma cardiaco che aveva lo scopo di rilevare alcuni parametri indicativi dello stato di salute del cuore come il volume dell’atrio sinistro e lo spessore della parete del ventricolo sinistro. Dopo una media di quattro anni, il 45 per cento dei pazienti aveva perso il 10 per cento o più del peso corporeo e il 22 per cento dei pazienti, che erano calati dal 3 al 9 per cento rispetto ai valori iniziali, avevano ripreso il normale ritmo cardiaco senza ricorrere alla chirurgia e senza farmaci. Viceversa, solo nel 13 per cento delle persone, in cui il calo risultava inferiore al 3 per cento, la fibrillazione era regredita. Le fluttuazioni di peso, infine, si sono rivelate dannose per il cuore: i pazienti che sono dimagriti e poi di nuovo ingrassati, con fluttuazioni superiori al 5 per cento, avevano il doppio delle probabilità di avere problemi di ritmo cardiaco rispetto a quelli con peso stabile.

FONTE: Www.corriere.it

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