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Le ricerche di Gerona 2005

(27-04-15) Alzheimer, diagnosi non comunicata ai pazienti nel 55% dei casi



Alla maggioranza dei loro pazienti con diagnosi di malattia di Alzheimer (Ad) i clinici non dicono che sono colpiti dalla malattia degenerativa. Lo rivela una ricerca - condotta in Usa dall'Alzheimer's Association - che ha coinvolto i pazienti le cui cartelle cliniche Medicare elencavano i trattamenti specifici per l'Ad. Quando i ricercatori hanno chiesto ai pazienti (o a un caregiver) se il loro medico li aveva informati riguardo alla patologia, solo il 45% ha risposto affermativamente. Per fare un confronto: oltre il 90% delle persone affette dai 4 tumori più diffusi (seno, colon-retto, polmone e prostata) hanno riportato che la diagnosi era stata loro comunicata. «Questi tassi di informazione sulla diagnosi di AD, veramente bassi, ricordano quanto succedeva negli anni '50-'60 con il cancro, definito la 'c-word.'» commenta Beth Kallmyer, vice presidente dell'associazione. «Non se ne parlava negli studi medici né di certo in pubblico. La situazione ora è totalmente cambiata ma sembra ripresentarsi con i pazienti con Ad» che pare abbiano maggiori probabilità di ricevere la diagnosi solo in stadio avanzato, quando la capacità di partecipare alla cura è diminuita e non si può più negare l'evidenza clinica. «I medici» sottolinea Kallmyer «spesso citano la paura di causare stress emotivo nell'assistito, come una delle principali ragioni per cui non riescono a comunicare una diagnosi di Alzheimer». Altre ragioni adottate dai clinici, secondo il rapporto sono l'incertezza della diagnosi, il tempo insufficiente per discutere le opzioni di trattamento, la mancanza di servizi di supporto e lo stigma che circonda l'Ad. Però, afferma Keith Fargo, direttore dei programmi scientifici dell'associazione «non comunicando in modo tempestivo ai malati la loro diagnosi li si priva della possibilità di vivere la vita al meglio delle possibilità e di giocare un ruolo attivo nella pianificazione del loro futuro». «Inoltre, questi pazienti restano esclusi da studi clinici che potrebbero migliorare la loro condizione, visto che la maggior parte dei trial arruolano solo soggetti con Ad precoce» aggiunge Kallmyer. Anche per questo, conclude Fargo «riteniamo che i pazienti abbiano il diritto di sapere che sono affetti da questa malattia cerebrale progressiva e fatale. Dire alla persona con Ad la verità circa diagnosi e prognosi dovrebbe essere una pratica standard».

FONTI:
Arturo Zenorini
doctornews33

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