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Le ricerche di Gerona 2005

(22-06-15) Sei a rischio cardiovascolare? Te lo dice la salute del tuo rene


I risultati di una metanalisi realizzata dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health dimostrano che due indicatori di funzionalità renale posso gareggiare con ipercolesterolemia e ipertensione nella capacità di prevedere il rischio di decesso per cause cardiovascolari, scompenso cardiaco e ictus.

 Alcune semplici misure di funzionalità renale, quali la stima del filtrato glomerulare e l’albuminuria aiutano prevedere in maniera accurato il rischio di eventi cardiovascolari, al pari di alcuni fattori di rischio tradizionali, quali ipercolesterolemia e ipertensione arteriosa.
 
Lo dimostra una corposa metanalisi che ha analizzato i dati provenienti da 24 studi e relativi a oltre 637 mila persone, senza storia di patologie cardiovascolari e per le quali erano disponibili i valori di eGFR e albuminuria. La ricerca viene pubblicata su Lancet Diabetes & Endocrinology, in contemporanea alla presentazione al congresso ERA-EDTA 2015.
 
Secondo gli autori dello studio, questi risultati aiuteranno i medici a prendere decisioni migliori circa la necessità di consigliare ai pazienti un cambiamento dello stile di vita (dieta, esercizio fisico) o l’assunzione di statine.
 
Ancor più importante è il fatto che queste informazioni sono già disponibili per moltissimi pazienti. L’esame più comunemente utilizzato in clinica per valutare la funzionalità renale è infatti la creatinina; questo test viene effettuato almeno 290 milioni di volte l’anno solo negli Stati Uniti.
Altro test di frequentissimo impiego, soprattutto nei soggetti con diabete, ipertensione e nei nefropatici è l’albuminuria, che misura la concentrazione di questa proteina nelle urine. Elevati livelli di albuminuria stanno ad indicare la presenza di danno renale.
 
“Avendo a disposizione questi dati su funzionalità e danno renale – sostiene Kunihiro Matsushita, del Dipartimento di Epidemiologia della Bloomberg School e primo autore dello studio - i medici dovrebbero cominciare a sfruttarli per stimare meglio il rischio di malattie cardiovascolari nei loro pazienti. I livelli di colesterolo e i valori pressori sono buoni indicatori del rischio cardiovascolare, ma non sono perfetti. Aggiungere le informazioni provenienti da eGFR e albuminuria, migliora la stima del rischio”.
 
L’utilità del tasso di filtrato glomerulare stimato (eGFR) e dell’albuminuria nella possibilità di prevedere la comparsa di eventi cardiovascolari è controversa. Per questo, il Chronic Kidney Disease Prognosis Consortium, coordinato dal professor Josef Coresh della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health  ha effettuato una metanalisi per valutare l’utilità di aggiungere questi due parametri ai tradizionali fattori di rischio, per prevedere mortalità cardiovascolare, coronaropatie, ictus e scompenso cardiaco.
 
L’eGFR è un parametro che si calcola a partire dai valori di creatininemia, attraverso formule prestabilite. L’albuminuria in questo studio è stata misurata come rapporto albumina-creatinina (ACR) o come proteinuria semiquantitativa, rilevata con delle strisce reattive.
 
Lo studio ha dimostrato che aggiungere questi due parametri, ai fattori di rischio tradizionali migliora in maniera indipendente la possibilità di prevedere il rischio di eventi cardiovascolari in generale, ma più in particolare quello di mortalità cardiovascolare e di scompenso cardiaco.
 
L’albuminuria gioca un ruolo preponderante come elemento predittivo non solo del rischio di mortalità cardiovascolare e di scompenso, ma anche di stroke. E questo, non solo in relazione all’EGFR, ma anche rispetto alla maggior parte dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolari, fumo compreso. Questo risultato è particolarmente evidente nei soggetti con diabete o ipertensione, ma resta significativo come elemento di predittività per mortalità cardiovascolare e scompenso, anche nei soggetti non affetti da queste condizioni.
 
Visti questi risultati, gli autori dello studio invitano a considerare l’eGFR e l’albuminuria nella stima del rischio cardiovascolare, soprattutto nei soggetti con insufficienza renale cronica, diabete e ipertensione o quando serva stimare in particolare il rischio di mortalità cardiovascolare e scompenso cardiaco.
 
Nei soggetti con insufficienza renale cronica, la valutazione simultanea dell’eGFR e dell’albuminuria potrebbe dunque migliorare la stratificazione del rischio cardiovascolare. Questi pazienti hanno un rischio raddoppiato di sviluppare patologie cardiovascolari, rispetto ai soggetti con normale funzionalità renale; metà di loro arrivano al decesso, prima di sviluppare insufficienza renale terminale.
 
Diverse linee guida raccomandano già di valutare funzionalità renale e danno renale nei soggetti con diabete, ipertensione e insufficienza renale. Matsushita però ritiene che anche altre categorie di soggetti (ad esempio quelli di colore) non ancora contemplati da queste raccomandazioni potrebbero avere un vantaggio dall’essere sottoposti a questi esami.
 
Non sono ancora chiari i meccanismi che legano il danno renale al rischio cardiovascolare. Secondo gli autori dello studio, reni non perfettamente funzionanti, possono condurre a sovraccarico di liquidi che può a sua volta portare allo scompenso cardiaco. Ai pazienti con insufficienza renale inoltre spesso non vengono prescritti farmaci comunemente somministrati per ridurre il rischio cardiovascolare, come le statine, anche perché spesso sono stati esclusi dai trial clinici mirati a valutare l’efficacia di questi farmaci.
Lo studio è stato finanziato dal National Kidney Foundation statunitense e dai National Institutes of Health’s National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases.
 

FONTE:
Maria Rita Montebelli
quotidianosanità.it



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