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Le ricerche di Gerona 2005

(22-07-15) Gli inibitori di pompa protonica potrebbero aumentare il rischio cardiovascolare




L'uso degli inibitori di pompa protonica si associa a un aumentato rischio di infarto miocardico nella popolazione generale. Lo afferma Nicholas Leeper delle Divisioni di medicina cardiovascolare e chirurgia vascolare alla Stanford University in California, coordinatore di uno studio pubblicato su PLoSOne. «Gli inibitori di pompa protonica sono stati associati a esiti clinici avversi tra gli utilizzatori di clopidogrel dopo sindrome coronarica acuta, e recenti risultati pre-clinici indicano che questo rischio potrebbe estendersi a soggetti senza precedente storia di malattia cardiovascolare» esordisce il ricercatore, ricordando che l'indicazione principale all'uso di questi farmaci è la malattia da reflusso gastroesofageo. Partendo da questi presupposti gli autori hanno analizzato le cartelle cliniche di quasi 3 milioni di pazienti registrati tra il 1994 e il 2012 in due diversi archivi informatici. Lo scopo era esplorare la possibilità che gli inibitori di pompa protonica potessero essere associati a un aumentato rischio cardiovascolare nella popolazione generale statunitense. Rischio secondo gli autori basato sulla riduzione causata da tali farmaci della produzione di ossido nitrico nelle cellule che rivestono l'interno del sistema circolatorio, compreso il cuore. E i risultati confermano l'ipotesi: tra i pazienti con reflusso gastroesofageo, l'esposizione a inibitori di pompa protonica si lega a un aumento del 16% del rischio di infarto miocardico. «Inoltre, da una sottoanalisi emerge che gli inibitori di pompa protonica raddoppiano la mortalità cardiovascolare, con risultati significativi a prescindere dall'uso di clopidogrel, utilizzato come marcatore di eventi cardiovascolari precedenti» riprendono gli autori. Al contrario gli H2-bloccanti, usati anch'essi nel trattamento del reflusso gastroesofageo, non sono associati a un aumento del rischio di eventi cardiovascolari. Ma David Johnson, direttore del Journal watch gastroenterology, pubblicazione del New England journal of medicine, sottolinea in un commento i molteplici rischi di malattie concomitanti nei pazienti con reflusso, tra cui l'obesità e le malattie metaboliche correlate. «In un'analisi come questa le comorbidità correlate a reflusso gastroesofageo potrebbero alterare la stratificazione dei pazienti. Quelli con rischio cardiovascolare ben riconosciuto non dovrebbero essere presi in considerazione, a causa di un potenziale sbilanciamento verso l'effetto dannoso degli inibitori di pompa protonica».

Fonti:
PLoS One. 2015. doi: 10.1371/journal.pone.0124653. eCollection 2015
doctornews33

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