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Le ricerche di Gerona 2005

(09-11-15) La terapia cognitivo-comportamentale migliora la depressione nello scompenso di cuore



L'approccio cognitivo comportamentale mirato sulla depressione e sull'autogestione dell'insufficienza cardiaca è risultato efficace nella prima ma non per autogestire meglio la seconda, secondo uno studio pubblicato su Jama Internal Medicine. «La depressione maggiore è una malattia che spesso complica lo scompenso di cuore, riducendo la cura di sé e aumentando il rischio di ricovero in ospedale e morte» afferma il primo autore Kenneth Freedland della Scuola di medicina all'Università di Washington, St. Louis, spiegando che l'autogestione nello scompenso cardiaco consiste nel mantenere la funzione fisica e prevenire le riacutizzazioni seguendo diete a basso tenore di sodio e assumendo i farmaci prescritti. Per verificare l'efficacia della terapia cognitivo-comportamentale in soggetti scompensati e depressi gli autori hanno randomizzato 158 pazienti ambulatoriali con scompenso di cuore e depressione maggiore a ricevere tale terapia oltre alle cure consuete oppure a sottoporsi alle cure consuete da sole. «Al termine del follow-up i sintomi depressivi erano migliorati nel gruppo di combinazione dei due trattamenti rispetto ai pazienti sottoposti alle sole cure consuete. Viceversa, la terapia cognitivo-comportamentale non ha modificato la cura di sé e la funzione fisica nello scompenso, pur migliorando l'ansia, l'astenia, le relazioni sociali e la qualità di vita. «L'intervento terapeutico oggetto di studio potrebbe ridurre il tasso di ospedalizzazione nei pazienti scompensati e clinicamente depressi» scrivono gli autori, sottolineando che la depressione nello scompenso cardiaco può rispondere alla terapia cognitivo-comportamentale anche se la terapia antidepressiva è scarsamente efficace. E in una nota Patrick O'Malley, vicedirettore di Jama Internal Medicine, scrive: «La buona notizia è che la terapia cognitivo-comportamentale migliora la salute emotiva e la qualità della vita dei soggetti depressi e scompensati, e che il miglioramento dei sintomi depressivi ottenuto con tale strategia terapeutica è maggiore di quanto osservato negli studi sugli antidepressivi nei pazienti cardiopatici». E conclude: «Nel riformulare il modo in cui pensiamo di gestire la depressione nei pazienti scompensati, dovremmo parlare di più e prescrivere meno».

Fonti: JAMA Intern Med. 2015. doi: 10.1001/jamainternmed.2015.5220
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26414759
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