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Le ricerche di Gerona 2005

(06-05-16) Uso prolungato di inibitori di pompa protonica può portare a danni renali





L'uso a lungo termine di farmaci contro l'acidità gastrica può aumentare il rischio di danno renale. È quanto risulta da una ricerca condotta negli Stati Uniti e pubblicata sul "Journal of american society of nephrology". In particolare i ricercatori - guidati da Ziyad Al-Aly, del Clinical epidemiology center presso il Va Saint Louis health care system - fanno riferimento agli inibitori di pompa protonica (Ppi o prazoli), alcuni dei quali acquistabili in farmacia senza obbligo di prescrizione medica. Per tali farmaci gli autori consigliano ai pazienti l'assunzione solo quando medicalmente necessaria e per un tempo non troppo prolungato. Era già stata descritta l'associazione tra uso di Ppi e il rischio di nefrite interstiziale acuta ma non era noto se l'esposizione ai Ppi fosse associata all'incidenza di nefropatia cronica (Ckd), alla sua progressione o alla malattia renale all'ultimo stadio. Per verificare queste eventualità Al-Aly e colleghi hanno fatto uso delle banche dati nazionali del Department of veterans affairs per costruire una coorte principale di nuovi utilizzatori di Ppi (n = 173.321) e una di nuovi utilizzatori di antagonisti dei recettori H2 dell'istamina (H2-antagonisti; n = 20.270) - classe alternativa di farmaci antiacidi qui usati per creare un gruppo controllo. Questi pazienti sono stati poi seguiti per un periodo di 5 anni per accertare gli outcome renali. Al follow-up il gruppo Ppi, rispetto al gruppo H2-antagonisti, ha fatto registrare un aumento del rischio di ridotta funzionalità renale (eGfr <60 ml/min per 1,73 m2) e di Ckd rispettivamente del 22% e 28%.

I pazienti trattati con Ppi hanno inoltre evidenziato un rischio significativamente incrementato (del 53%) di raddoppio della creatinina sierica, oltre a un rischio maggiore del 32% di declino dell'eGfr>30%, fino ad arrivare a un aumento del 96% del rischio di malattia renale all'ultimo stadio (insufficienza renale). Da notare come lo studio abbia rilevato un'associazione graduale tra durata dell'esposizione ai Ppi e il rischio di outcome renali tra i soggetti esposti a questi farmaci per periodi compresi fra 31e 90 giorni oppure 91 e 180, 181 e 360 o 361 e 720 rispetto ai pazienti esposti per periodi pari o inferiori a 30 giorni. In altre parole, i soggetti che avevano assunto PPI per periodi di tempo più lunghi avevano maggiori probabilità di avere problemi renali. «I nostri risultati suggeriscono che l'esposizione a PPI si associa ad aumento del rischio di Ckd, progressione di Ckd e malattia renale all'ultimo stadio» è la conclusione degli autori. L'allarme principale, però, consiste nel fatto che «molti pazienti che iniziano a prendere PPI per una precisa condizione medica, continuano l'assunzione molto più a lungo del necessario». È questo, in fondo, il messaggio-chiave rispetto al quale i ricercatori mettono in guardia a un tempo medici e pazienti.


A.Z.

Fonte: doctornews33

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