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Le ricerche di Gerona 2005

(09-05-16) La rosacea si associa a un aumento del rischio di Parkinson


La presenza di rosacea, una patologia infiammatoria cronica della pelle che si manifesta con rossore, eritema e teleangectasie nella parte centrale del volto, si associa a un aumentato rischio di malattia di Parkinson rispetto alla popolazione generale, secondo uno studio appena pubblicato su Jama Neurology condotto in Danimarca. «Quali siano le cause della rosacea non è ancora chiaro, ma un ruolo importante è svolto da una maggiore attività a livello cutaneo delle metalloproteasi di matrice come la collagenasi e l'elastasi» esordisce Alexander Egeberg dell'Università di Copenhagen in Danimarca, ricordando che anche la malattia di Parkinson come altre patologie neurodegenerative mostra un aumento dell'attività metalloproteinasica di matrice, legata alla degenerazione neuronale. Per verificare un'eventuale associazione tra le due condizioni gli autori hanno analizzato i dati di oltre 5,4 milioni di danesi, dei quali 22.387 avevano una diagnosi di malattia di Parkinson e 68.053 una di rosacea.

«A conti fatti abbiamo scoperto che l'incidenza di malattia di Parkinson era del 3,54 per 10.000 persone-anno nella popolazione generale a fronte del 7,62 per 10.000 persone-anno nei pazienti con rosacea» osservano i ricercatori. Ma non solo: dai risultati emerge inoltre che nei pazienti con rosacea la malattia di Parkinson si verifica con circa 2,4 anni di anticipo rispetto ai soggetti di controllo, e che nelle persone con rosacea trattate con tetracicline il rischio di Parkinson, anche se di poco, sembra comunque ridursi. «In sintesi, questi dati indicano per la prima volta non solo un aumento significativo delle probabilità di sviluppare malattia di Parkinson negli individui affetti da rosacea forse mediato dalle metalloproteinasi di matrice, ma anche un possibile effetto protettivo delle tetracicline, spesso usate nella rosacea. Servono quindi ulteriori ricerche per confermare queste osservazioni e approfondirne le eventuali implicazioni cliniche» scrive in un editoriale di commento Thomas Wingo della Emory University di Atlanta.

Jama Neurology 2016. doi: 10.1001/jamaneurol.2016.0022
http://arch‐neur.jamanetwork.com/article.aspx?doi=10.1001/jamaneurol.2016.0022

Jama Neurology 2016. doi: 10.1001/jamaneurol.2016.0291
http://archneur.jamanetwork.com/article.aspx?doi=10.1001/jamaneurol.2016.0291

Fonte: docornews33

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