(01-06-16) Bevande dolcificate nelle gestanti aumentano rischio di obesità nella prole
Il consumo quotidiano in gravidanza di bevande dolcificate artificialmente si associa non solo con un incremento dell'indice di massa corporea (Bmi) nella prole, ma anche con un aumentato rischio di sovrappeso nella prima infanzia. Ecco le conclusioni pubblicate su Jama Pediatrics di uno studio coordinato da Meghan Azad dell'Università di Manitoba a Winnipeg in Canada, che assieme ai colleghi ha studiato 3.033 coppie madre-bambino allo scopo di esaminare l'associazione tra il consumo di bevande dolcificate artificialmente durante la gravidanza e l'effetto sul neonato nel primo anno di vita.
«L'obesità può radicarsi in giovanissima età, essendo presente in oltre il 20% dei bambini in età prescolare» esordisce la ricercatrice, spiegando che l'uso dei dolcificanti, o sostituti dello zucchero non nutritivi (Nnss), è diventato molto popolare. «I dati degli studi precedenti suggeriscono che il consumo cronico di sostituti dello zucchero può paradossalmente aumentare il rischio di obesità e malattie metaboliche, ma al momento poco si sa circa l'effetto dell'esposizione a sostituti dello zucchero in gravidanza» scrivono i ricercatori canadesi, che per chiarire l'argomento hanno utilizzato un questionario sull'alimentazione sottoponendolo alle gestanti che hanno preso parte allo studio, età media 32 anni, e correlandone i risultati all'indice di massa corporea della prole misurato a un anno di età. E i numeri parlano chiaro: già dopo 12 mesi di vita il 5,1% dei bambini era in sovrappeso, e il 29% delle mamme riferiva di aver consumato in gravidanza bevande dolcificate artificialmente, cosa che avveniva giornalmente nel 5,1% delle gestanti.
«Lo studio indica che il consumo giornaliero di bevande dolcificate artificialmente durante la gestazione, a fronte di nessun consumo, si associa a un aumento del rischio della prole di essere in sovrappeso già al primo anno di età» concludono gli autori. «Questi risultati non solo meritano attenzione, ma aprono la strada a studi di coorte che confermino l'associazione esplorandone i meccanismi» commenta in un editoriale Matthew Gillman della Harvard Medical School di Boston.
Jama Pediatrics 2016. doi:10.1001/jamapediatrics.2016.0301
http://archpedi.jamanetwork.com/article.aspx?doi=10.1001/jamapediatrics.2016.0301
Jama Pediatrics 2016. doi:10.1001/jamapediatrics.2016.0555
http://archpedi.jamanetwork.com/article.aspx?doi=10.1001/jamapediatrics.2016.0555
Fonte: doctornews33
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