(28-06-2017) Ipertensione, Congresso Esh: meno sale ma senza esagerare
Meno sale, ma senza esagerare. Un'eccessiva diminuzione del suo consumo potrebbe essere dannosa, anche negli ipertesi. L'indicazione arriva dal 27° Congresso dell'European Society of Hypertension: «Non vi è dubbio che un eccesso di sale favorisce l'elevarsi della pressione arteriosa e non vi è neanche alcun dubbio che ridurre il consumo di sale ha un effetto protettivo, però dobbiamo abbandonare gli atteggiamenti talebani su questo punto» afferma Giuseppe Mancia, Presidente dell'Esh Meeting di Milano e primo autore dello studio. «Si è visto che un'eccessiva riduzione di sale può portare a complicazioni di vario genere, inoltre poco più di un anno fa sono stati pubblicati dei dati su grandi numeri che mostrano come, riducendo il consumo di sale, si riducano gli eventi cardiovascolari, ma solo fino a un certo punto perché al di sotto di una certa riduzione, intorno a 3 g di sodio al giorno (quindi a circa il doppio di sale), il rischio cardiovascolare risale secondo una curva a J». In pratica, sarebbe prudente raccomandare una riduzione dell'apporto di sodio fino ai 3 grammi. Quello del sale non è l'unico tema sul tavolo della discussione. Un problema nel trattamento dell'ipertensione è quello del suo insufficiente controllo terapeutico. «L'ipertensione arteriosa è la causa prima di mortalità in tutto il mondo - ricorda Enrico Agabiti Rosei Presidente dell'Esh -. È il fattore di rischio più importante e come causa di eventi fatali e non fatali ha superato altri fattori di rischio, come il fumo di tabacco e l'inquinamento atmosferico. Ma è non di rado sottovalutata dai pazienti e, talvolta, anche dai medici. L'inizio del trattamento viene effettuato di solito quando ancora non sono presenti sintomi e questo è uno dei possibili motivi della scarsa aderenza alla terapia. Inoltre molti pazienti ritengono erroneamente che una volta normalizzata la pressione si possa sospendere la cura». Se la mancata aderenza alla terapia costituisce il fattore più importante, entrano in realtà in gioco anche altri elementi. «Uno è l'efficienza dei sistemi sanitari nel campo della prevenzione cardiovascolare -ricorda Mancia -, il secondo è il fatto che i medici molte volte non usano le terapie che si sa essere più efficaci. Sappiamo che nella maggior parte dei pazienti sono necessari più farmaci e invece ancora oggi domina la monoterapia che non riesce a controllare molti casi. C'è poi l'inerzia terapeutica del medico che si trova di fronte a un paziente che non ha la pressione controllata, ma preferisce aspettare di vedere cosa succederà alla visita successiva. Il fenomeno fondamentale è comunque la bassa aderenza. In regione Lombardia abbiamo analizzato i dati di prescrizione valutando l'aderenza alla terapia come rinnovo delle prescrizioni: ebbene su circa 800000 pazienti che cominciavano la terapia hanno smesso il 62,8%. C'è una relazione molto precisa fra aderenza alla terapia e rischio cardiovascolare per cui maggiore aderenza alla terapia può voler dire minori ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, ictus e cardiopatia ischemica». Anche nel campo dell'ipertensione si va verso la medicina personalizzata e verso interventi preventivi. «Saremo in grado di suddividere i pazienti con ipertensione essenziale in vari sottogruppi sulla base del Dna o di altri test molecolari che ci possono dare informazioni sui meccanismi alla base della condizione - aggiunge Dame Anna Dominiczak Past President dell'Esh -. Questo ci permetterà di diagnosticarla molto precocemente, prima che la pressione cominci ad aumentare, e di prevenirla intervenendo sui fattori ambientali; ci permetterà inoltre di individuare il miglior trattamento per ciascun sottogruppo di pazienti. Si tratta della medicina di precisione che inizieremo a introdurre anche nelle nuove Linee Guida».
Fonte: doctornews33
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