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Le ricerche di Gerona 2005

(27-06-2018) TIA e piccoli ictus: campanello d’allarme per eventi cardio-vascolari e mortalità nei 5 anni successivi





Uno studio pubblicato oggi sul New England presenta i dati di follow up a 5 anni di una vasta coorte di pazienti con pregresso TIA o ictus minore. A 5 anni il rischio di ictus è del 9,5% e quello di mortalità per cause cardiovascolari, ictus o sindrome coronaria acuta del 12,9%. Gli esperti invitano dunque a considerare i TIA un importante campanello d’allarme e a implementare tutte le misure di prevenzione vascolare secondaria in questi pazienti.
07 GIU- Qual è il rischio di ictus dopo un attacco ischemico transitorio o una piccola lesione ischemica cerebrale? È la domanda alla quale ha cercato di dare risposta il gruppo di studio TIAregistry.com che pubblica oggi sulNew England Journal of Medicinei suoi risultati.
Il registro ha arruolato 4.789 pazienti in 21 Paesi; tutti erano stati ricoverati per TIA o ictus minore, tra il 2009 e il 2011; lo studio pubblicato oggi, contiene gli esiti del follow-up a 5 anni, relativi all’80% dei pazienti arruolati inizialmente; il lavoro fa seguito ai risultati di un altro studio pubblicato in precedenza, sui risultati ad un anno. Primo autore dello studio èPierre Amarenco, del dipartimento di Neurologia e Stroke Center dell’Ospedale Bichat di Parigi.

Lo studio a 5 anni, ha preso in considerazione solo quei centri (42 sui 61 iniziali) che possedevano i dati di follow up a 5 anni di almeno il 50% dei pazienti arruolati inizialmente (in pratica l’80% della coorte iniziale). Endpoint primario dello studio era un composito di ictus, sindrome coronarica acuta o morte da cause cardiovascolari; un’enfasi particolare veniva data agli eventi che si presentavano dal secondo al quinto anno di follow up.


Nel follow up a 5 anni è stato incluso un totale di 3.847 pazienti; l’endpoint composito primario è stato registrato in 469 pazienti (il 12,9% del totale), con metà degli eventi 850,1%) comparsi tra il secondo e il quinto anno. A 5 anni, 345 pazienti avevano avuto un ictus (il 9,5% del totale) e il 43,2% di loro lo aveva avuto tra il secondo e il quinto anno di follow up. I tassi di mortalità per qualsiasi causa, di mortalità per cause cardiovascolari, emorragia intracranica e sanguinamenti maggiori sono stati rispettivamente: 10,6%, 2,7%, 1,1% e 1,5% a 5 anni.

Le analisi statistiche effettuate su questi dati hanno evidenziato come fattori di rischio per uno stroke successivo la presenza di aterosclerosi carotidea omolaterale, cardioembolia e un punteggio ABCD2(uno score che tiene in considerazione età del paziente, pressione arteriosa, durata dei sintomi, presenza o meno di diabete e dati clinici) per rischio di ictus uguale o superiore a 4.

Gli autori concludono dunque che dopo un TIA o un piccolo ictus, il rischio di un successivo ictus a 1 anno è del 6,4% e il rischio di ictus tra il secondo e il quinto anno di follow up è di un altro 6,4%.

Il rischio cumulativo di ictus a 5 anni, in questa coorte di pazienti con TIA o ictus ‘minore’ è dunque del 9,5%, mentre il composito di stroke, sindrome coronarica acuta o mortalità da cause cardiovascolari sempre a 5 anni è risultato del 12,9%. Numeri alti, ma pur sempre di molto inferiori al dato delle coorti storiche, pubblicato in letteratura (rispettivamente 22% e 17%); una riduzione questa dovuta all’adozione su larga scala di misure aggressive per la riduzione del rischio di eventi cardio e cerebro-vascolari.

Ciò detto, il rischio a 1 anno e a 5 anni di un secondo evento (ictus o sindrome coronarica acuta) di mortalità resta comunque elevato; va inoltre considerato che questi pazienti, essendo seguiti in centri iper-specializzati, non sono rappresentativi della popolazione generale, dove il dato potrebbe essere ben peggiore di quello riportato dallo studio.

Iltake home messageè dunque di non abbassare la guardia dopo un TIA o un piccolo ictus perché questi pazienti vanno considerati ad elevato rischio cardio e cerebro-vascolare e perché metà degli eventi si verificano tra i 2 e i 5 anni dal primo. L’implementazione su vasta scala delle misure di prevenzione secondaria potrebbe inoltre contribuire a ridurre ulteriormente il rischio di successivi eventi in questi pazienti.

Maria Rita Montebelli


Fonte: quotidianosanità.it

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