(03-02-06) Figli pi? intelligenti con l'omega-3
Uno studio anglo-americano sulla dieta in gravidanza d? risultati impressionanti sull'importanza del cibo a base di pesce sull'intelligenza. E un confronto fra la dieta di americani e giapponesi conferma
Gli acidi grassi omega-3 (contenuti soprattutto nel pesce, ndr) costituiscono un componente fondamentale di una dieta sana, specie, sembra, per le donne in gravidanza che desiderino bambini intelligenti e socievoli.
L'importanza degli acidi omega-3 ? risaputa, ma i dati ricavati da uno studio di lungo periodo condotto su bambini inglesi suggeriscono che essa ? ben superiore a quanto finora notato. In particolare, la quantit? di omega-3 nella dieta delle donne in gravidanza aiuta a determinare l'intelligenza del nascituro, le sue capacit? motorie fini (quali quella di maneggiare piccoli oggetti e il coordinamento tra gli occhi e la mano) nonch? la tendenza a comportamenti socialmente devianti.
VASTO STUDIO
? questa almeno la conclusione tratta da Joseph Hibbeln, ricercatore degli America's Institutes of Health, che ha lavorato su un insieme di dati ricavati dall'Avon Longitudinal Study of Parents and Children. Tale studio comprende dati relativi a 14.000 madri in gravidanza e sui loro figli.
Il professor Hibbeln e la professoressa Golding hanno esaminato questa banca dati guardando agli effetti della dieta delle madri, in particolare gli effetti dell'assunzione degli acidi omega-3. Hibbeln ha reso note le loro conclusioni a un simposio organizzato a Londra dall'Institute of Brain Chemistry and Human Nutrition.
PRIMA SCOPERTA
Forse la scoperta che ha destato maggior scalpore riguarda i figli delle donne che avevano consumato le dosi minori di acidi grassi omega-3 durante la gestazione: essi avevano QI verbali di 6 punti inferiori rispetto alla media.
Non sembrerebbe gran che, ma se il fenomeno si diffondesse avrebbe serie conseguenze sulle capacit? cerebrali dell'intera popolazione.
E la scoperta ? di particolare rilievo giacch? finora, almeno in America, si ? sempre consigliato alle donne incinte di limitare il consumo per esempio di frutti di mare per evitare di esporre il feto a rilevanti quantit? di mercurio metilico, che danneggia il cervello.
Ci? significa paradossalmente che le donne incinte in America evitano una delle fonti pi? ricche di omega-3.
Hibbeln afferma che il suo lavoro mostra che i benefici legati al consumo di questo tipo di pesce superano di gran lunga i rischi connessi al mercurio ivi contenuto.
ALTRE DUE SCOPERTE
La seconda scoperta dei ricercatori ? stata che all'et? di 3 anni e mezzo i bambini con i migliori livelli di capacit? motorie fini erano quelli le cui madri avevano assunto i quantitativi maggiori di omega-3.
La terza scoperta ? stata che l'assunzione ridotta di omega-3 durante la gravidanza portava a pi? elevati tassi di patologie nell'ambito relazionale quali l'incapacit? dei bambini di fare amicizia una volta cresciuti.
I ?DATI CHE PI? SPAVENTANO?
Hibbeln ha aggiunto che i "dati che pi? spaventano" mostrano che a 7 anni tale tendenza comportamentale si evidenziava nel 14% dei bambini le cui mamme avevano assunto scarsi quantitativi di omega-3 durante la gravidanza, contro l'8% di quelli nati dal gruppo di mamme con le diete pi? ricche di omega-3.
Studi come questo non sono da soli sufficienti per trarre conclusioni sicure. Eppure questi risultati sono sostenuti da parecchi dati.
OMEGA-6
Lo studio del prof. Hibbeln si ? concentrato sull'assunzione di omega-3. Ma esiste un secondo meccanismo che porterebbe alla riduzione di quest'ultima, per la concorrenza di un gruppo analogo di acidi grassi chiamati omega-6.
IL CASO DEGLI AMERICANI
In media la membrana cellulare di un americano, con una dieta povera di pesce e ricca di oli vegetali ad alto contenuto di omega-6, contiene il 20% di lipidi ad alto tasso di omega-3 e l'80% di quelli ad alto tasso di omega-6 (il 10% circa delle calorie assunte dagli americani deriva dall'acido linoleico contenuto in oli di semi di mais e di soia, le principali fonti di omega-6).
Invece nella membrana cellulare di un giapponese (abituato a una dieta molto ricca di pesce, ndr) le percentuali relative alla tipologia di lipidi in questione sono del 40 e del 60%, rispettivamente. Ci? significa, in sintesi, che le cellule del giapponese potrebbero essere assai pi? sensibili alle molecole-messaggero di quanto non lo siano quelle di tipo americano.
IMPLICAZIONI
Le implicazioni pi? ampie sul piano sociale di tali risultati non si conoscono, ma potrebbero non essere trascurabili. Per esempio, due rapporti pubblicati a met? gennaio da due enti benefici inglesi affermano che i mutamenti nella dieta negli ultimi 50 anni - specialmente i cambiamenti nei consumi di omega-3 e omega-6 - costituiscono un fattore importante alla base dell'incremento delle malattie mentali in Gran Bretagna.
Un vecchio detto (Leonardo, Feuerbach, ndr) suggerisce che l'uomo ? quello che mangia. Se il prof. Hibbeln e la prof.ssa Golding hanno ragione, sembra plausibile aggiungere che uno fa quello che mangia.
? The Economist Newspaper Limited, London, 2005(traduzione di Paolo Zanna)
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