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Le ricerche di Gerona 2005

(04-02-12) Arresto cardiaco nella maratona: sale il rischio tra i maschi


Il rischio globale di arresto cardiaco e morte improvvisa tra i corridori di maratona e mezza maratona ? basso. In ogni caso, l'arresto cardiaco, principalmente attribuibile a cardiomiopatia ipertrofica o ad aterosclerosi coronarica, si verifica primariamente tra i corridori di sesso maschile, nei quali si ? rilevato un aumento di incidenza nell'ultima decade. Il dato proviene da uno studio condotto negli Stati Uniti, dove sono stati analizzati le incidenze e gli esiti dell'arresto cardiaco associati a corse di maratona e mezza maratona tra il 2000 e il 2010. Le caratteristiche dei casi di arresto sono state determinate dai ricercatori del Race associated cardiac arrest event registry (Racer) Study Group, coordinati da Jonathan H. Kim dell'Harvard medical school di Boston, tramite interviste ai sopravvissuti e ai parenti prossimi dei non sopravvissuti, revisione delle cartelle cliniche e analisi dei dati postmortem. Su un totale di 10,9 milioni di podisti (et? media: 42 anni; 51% uomini) 59 hanno avuto un arresto cardiaco (tasso di incidenza: 0,54 per 100.000 partecipanti). Le malattie cardiovascolari hanno costituito il motivo dell'arresto nella maggior parte dei casi. Il tasso di incidenza ? apparso significativamente maggiore durante le maratone rispetto alle mezze maratone (1,01 vs 0,27 per 100.000) e tra gli uomini rispetto alle donne (0,90 vs 0,16 per 100.000). Tra i maratoneti di sesso maschile, ossia nel gruppo a pi? alto rischio, si ? registrato un aumento di incidenza di arresto cardiaco nella seconda met? dell'ultima decade di studio (da 0,71 a 2,03 per 100.000 nei periodi, rispettivamente, 2000-2004 e 2005-2010). Dei 59 casi di arresto cardiaco, 42 (71%) sono stati fatali. I pi? forti fattori predittivi di sopravvivenza sono stati l'avvio delle operazioni di rianimazione cardiopolmonare da parte degli astanti e una diagnosi di base differente rispetto alla cardiomiopatia dilatativa.

Fonte: N Engl J Med, 2012; 366(2):130-140

Fonte:teamsalute.it


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